
E’ ottobre. Sono quasi le sei di sera ed è buio. Ci accoglie Jule. Se siamo qui lo dobbiamo a lei. Infatti è lei che ha organizzato la serata di presentazione di IN ALASKA FA CALDO, serata della quale so ancora poco ma percepisco solo buone sensazioni.
Montepetto è un gruppo di case. Tre per l’esattezza. Quella di Bruno e Tullia, quella di Jule ed una terza che di tanto in tanto viene affittata e tutti chiamano loft.
Vi si accede tramite delle scale esterne e si presenta come una stanza unica molto accogliente con al centro una stufa a legna che scalda tutto. Qui di tanto in tanto vengo create delle iniziative per stare insieme, per condividere opinioni, idee e storie. Condividere in carne e ossa intendo. Una roba giurassica da qualche anno a questa parte. Ma alla fine l’uomo è questo. No followers.
Ben venga la tecnologia che aiuta a comunicare. Se io voglio parlare e vedere quel mio lontano zio che abita in mezzo alla foresta amazzonica del quale a malapena ricordo il suo nome ora lo posso fare, anche se in fin dei conti è sempre stata una persona poco piacevole.
Questa mia rappresentazione del mondo della comunicazione può sembrare semplicistica, forse lo è, ed anche volutamente. Ma il ricordo dell’uomo col forcone è ancora troppo vivo in noi, e l’odio, come altro chiamarlo, nei confronti dell’applicazione californiana che ci ha cacciato in quel pasticcio non si placa in così breve tempo.
Ceniamo tutti assieme. Con una calma d’altri tempi. Jule ha preparato un’ottima cena e chiunque arriva porta vino, salame o dolci.
Le presentazioni di In Alaska fa caldo dovevano essere molte, anche in alcuni festival di cui ero molto curioso, poi in realtà si sono ridotti ad alcuni dove i vincoli per il distanziamento erano maggiori dei piaceri dello stare insieme. Questa sera è come una rivincita.
Fa sempre piacere raccontare una storia, che è poi la tua storia, ad un pubblico attento. Raccontare la tua storia di quel periodo così particolare di quando sono partito con un biglietto di sola andata per il Canada e la bicicletta chiusa in uno scatola.
Ad un certo punto Primo, si fa avanti e mi dice “Tutto bello, anzi bellissimo, e tu sei fortissimo. Ma io non lo farei mai! In bicicletta poi, ma quando mai!”
Poi c’è Beppe che ha lo sguardo attento ai dettagli di chi conosce bene l’argomento. Un ex-camionista che da quando è in pensione gira l’Italia e l’Europa in lungo e largo. E’ arrivato direttamente in bici per la serata, con tanto di gilet catarinfrangente, caschetto, zaino e i pantaloni legati alla caviglia per non farli finire dentro la catena. La bici come mezzo di trasporto anche in Appennino, si può.
Finiamo la serata con biscotti e vino. E le chiacchiere che proseguono sulla comune terra in cui viviamo: l’Appennino e da lì partono verso mete di future esplorazioni. Asia, Africa, Sud America. Alcune in comune altre no. Progetti, pensieri in condivisione, no like.
ps. chiedo scusa se non ricordo i nomi di tutti i partecipanti
Fine
Stefano Elmi
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