Avere quarant’anni

Il giorno in cui ho compiuto quarant’anni mi sono svegliato ed appena sceso dal letto un dolore lancinante mi ha preso l’intera schiena.
Gli occhi seppur ancora assonnati si sono sgranati di colpo, anche se non vedevano niente, neanche loro ci potevano credere.
Io che non ho mai avuto problemi con la schiena, questa è solo una tremenda suggestione, mi sono detto.
Sceso dal letto ho fatto i primi passi ed anche le gambe si sono ribellate. Vabbè forse è stata la gita in bicicletta del giorno prima, ho provato a giustificarmi, eppure non avevo mai avuto un dolore del genere. Alzo le braccia per afferrare dei vestiti ed un dolore altrettanto lancinante alle spalle è partito su dritto sino alla testa. E questo no però!
E’ solo una dannatissima suggestione ho continuato a ripetermi per l’intera giornata. Alla fine è solo un numero mi sono detto davanti allo specchio! Sarà solo un numero, però oggi mi fa proprio male tutto.

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Monte Petto – La serata

E’ ottobre. Sono quasi le sei di sera ed è buio. Ci accoglie Jule. Se siamo qui lo dobbiamo a lei. Infatti è lei che ha organizzato la serata di presentazione di IN ALASKA FA CALDO, serata della quale so ancora poco ma percepisco solo buone sensazioni.

Montepetto è un gruppo di case. Tre per l’esattezza. Quella di Bruno e Tullia, quella di Jule ed una terza che di tanto in tanto viene affittata e tutti chiamano loft.

Vi si accede tramite delle scale esterne e si presenta come una stanza unica molto accogliente con al centro una stufa a legna che scalda tutto. Qui di tanto in tanto vengo create delle iniziative per stare insieme, per condividere opinioni, idee e storie. Condividere in carne e ossa intendo. Una roba giurassica da qualche anno a questa parte. Ma alla fine l’uomo è questo. No followers.

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Monte (di) Petto – L’arrivo

Per arrivare a Monte Petto non bisogna prendere la salita di petto, è la cosa più sbagliata da fare, non tanto per la salita in se stessa, ma per il fatto che dopo la salita viene sempre (almeno si spera) la discesa. E nello specifico è la fine della discesa che ci ha fregato. Perché poi la salita era stata anche piacevole per quanto del tutto inaspettata.

Col mio onesto Renault Kangoo siamo saliti su di una strada sterrata che poi si è tramutata senza troppi preavvisi in veri e proprio campi, e lei (ed io e Martina assieme a lei) che continuava ad arrampicarsi come neanche una Panda 4×4 old school. Va bene, non esageriamo.

Comunque per tornare allo stato delle cose di quella sera, questo Kangoo saltellate è salito fin quasi alla metà preventivata, ma sul più bello è tornato indietro. Proprio così. Ha deciso che era troppo per lui ed è tornato indietro per i fatti suoi. E noi lì dentro con lui senza poter far niente.

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Il viaggio è una questione da adulti

Già alla prima domanda mi sono trovato in difficoltà.

“Bellissima la storia che hai raccontato, e poi gli orsi, ma scusa perché sei partito?” mi chiede a bruciapelo Matteo.

Poco dopo, alla visione di alcune fotografie di strade completamente dritte che si perdevano all’orizzonte dove non vi era traccia di un albero, Giulio mi fa: “scusa ma dove facevi la cacca?”

E poi ancora: ”Ma quando sei partito eri sposato o fidanzato? Come hai fatto ?” Sempre dritti al punto ho pensato.

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“We can be heroes just for one day” – Giorno 2

“Volete un po’ di Brunello?” chi ce lo chiede è Lucia, e la domanda non sarebbe tanto particolare se non fossimo appena saltati in sella e se non fossero solamente le dieci di mattina. 

Lucia l’ho conosciuta nei miei tour estivi con dei clienti britannici e americani. Lavora per la cantina Padelletti, una delle più antiche famiglie di Montalcino. 

Il primo giorno in cui sono andato da loro mi stavo domandando dove il mio capo mi avesse mandato. Conoscendo la sua parsimonia (chiamiamola così) credevo che avesse voluto risparmiare anche sulle degustazioni. Mi sbagliai. L’aspetto rustico del posto non dava giusto merito alla sua storia e soprattutto al vino. E fu lì che arrivò Lucia a presentare i vini ed a raccontare la storia della famiglia presente a Montalcino già dal 1300 e viticultori sin dal 1571.

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“We can be heroes just for one day” – Giorno 1

Siamo a Siena ed anche se i vigili della municipale ci bloccano all’ingresso di Piazza del Campo non ci scoraggiamo. Siamo qui per essere eroi su due ruote e seguiremo il nostro istinto anche se per il momento dobbiamo spingere i nostri cavalli di metallo.

Il vigile non chiude neanche un occhio e ci segue con lo sguardo vigile, appunto, mentre attraversiamo la piazza. All’altezza della curva di San Martino rimontiamo in sella e ci dileguiamo per i vicoli, dopo avere salutato il vigile dall’altra parte della piazza che però non ricambia.

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Pozzanghere session

Pesca, io e l’Indiano

Iniziamo subito con un passo falso che ci depista o più semplicemente non mi fa capire niente. “Ehi ragazzo stai attento che più avanti c’è la pattuglia e ti può fermare!” mi dice un tipo corpulento dalla testa rotonda chiusa dentro un cappellino di lana. “E allora? Che vuol dire?”.

Mi pare di afferrare fra un grugnito l’altro che in bici col cane a guinzaglio non si può andare. “Gli scoppia il cuore” continua il signore corpulento. “Come ‘gli scoppia il cuore’? Sto andando a passo, pianissimo. Comunque non lo sapevo che non si poteva” “Neanche io” fa un tipo mingherlino che passeggia con l’altro.

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5. Chemin d’Assise: Santa Maria Rossa – Assisi

L’ultimo giorno è sempre l’ultimo giorno. Stanchi, malandati, un po’ tristi e un po’ felici. Il cammino odierno poi non è un granché. E’ fatto di strade secondarie asfaltate sempre avvolte dalla solita nebbia. Alcuni tratti più frequentati dalle auto ed altri senza. Tutto così sino Bastia Umbra dove il cammino ci sorprende per un finale che ne è davvero degno. Scendiamo le scalette di un ponte di ferro e, saltato un piccolo albero caduto, troviamo un sentiero che ci condurrà diretti alla città di Francesco immersi nel verde a fianco di un torrente. E’ un arrivo molto ‘francescano’ che ci fa tornare a respirare a pieni polmoni ed a godere di questi ultimi chilometri.

Fermi a riposarci alla base dell’ultima salita per entrare ad Assisi vediamo un gruppo di persone avvicinarsi lungo la strada. Arrivano da un area camper.
“Scommetti che sono i signori incontrati alcuni giorni fa” dice Martina “Ma dai, non credo proprio” sentenzio con fare indolente.
Con nostro grande stupore, ma più che altro mio, mi accorgo che sono proprio loro. Noto anche che aveva ragione il signore che mi aveva detto “Hai presente Assisi, beh noi siamo lì sotto” ed infatti il parcheggio dal quale saltano fuori risulta essere proprio “lì sotto”. Un indicazione che poteva risultare semplicistica ma che in realtà si è dimostrata più veritiera di altre. Quasi mi vergogno di averla messa in dubbio.

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4. Chemin d’Assise: Castello di Monticelli – Santa Maria Rossa

L’indomani mattina mentre ci prepariamo per uscire ed andare nella famigerata sala gotica ecco che qualcuno bussa alla porta. E’ la colazione. Due signore marocchine ben vestite ci portano dei grandi vassoi stracolmi di cose da mangiare.

Poco prima di metterci gli zaini in spalla viene a salutarci il Professore Tullio, che con estrema lucidità ci parla della storia di questo castello.

“Con la mia famiglia abbiamo impiegato 15 anni per la ristrutturazione completa. Tutta la proprietà è vincolata dalla soprintendenza delle belle arti e del paesaggio. La prima parte del castello fu eretta alla fine del VI secolo, quindi all’epoca dell’Impero Romano d’oriente, per controllare il cosiddetto corridoio bizantino dall’invasione dei Longobardi. Il corridoio altro non era che una striscia di territorio che collegava Roma alla capitale dell’Impero, Ravenna. Successivamente a seguito della vittoria di Carlo Magno contro i Longobardi nel 774 d.c. a Pavia la funzione strategica del castello venne meno. Così negli anni seguenti è diventato prima un monastero benedettino, e nel 1470 divenne residenza estiva di caccia di importanti famiglie aristocratiche di Perugia. Infine la mia famiglia lo ha acquistato e grazie alla ristrutturazione possiamo ospitare sino a 90 persone” e poi con entusiasmo prosegue “Dimenticavo: non so se avete visto ieri sera all’entrata del castello, ma molto probabilmente non ci avete fatto caso perché era buio, ma c’è una cappella dove al suo interno sono stati ritrovati e successivamente restaurati degli affreschi di Meo da Siena, allievo di Giotto”
Su questo dettaglio la bocca di Martina si apre, ma il professore non cede, ha altri impegni per la mattina. Anche dopo averlo, sempre gentilmente, supplicato.

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3. Chemin d’Assise: Moiano – Castello di Monticelli

Partiamo dall’oratorio all’alba avvolti da una luce ancora fioca in un misto di nebbia e pioggia leggera. Colline, strade bianche, casali. Tappa lunga quella odierna coi suoi 33 chilometri. Su e giù per i colli umbri e lungo pianure di fondovalle.

Il primo paese in cui ci imbattiamo è Paciano. Ben curato ma nessuno o quasi in giro. Le uniche anime vive escono dal palazzo del locale municipio. Pesca vomita sotto il loggiato a fianco del bar. Scambiamo alcune chiacchiere con dei turisti del nord Italia venuti qui in vacanza coi loro camper.

“Dove state andando a piedi?”
“Ad Assisi, e contiamo si arrivare per il 31”
“Anche noi saremo ad Assisi per quel giorno. L’hai presente la rocca?”
“Sì”
“Ecco noi siamo lì sotto”
“Ok va bene, lì sotto”

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