In Alaska fa caldo

IMG_3059In Alaska ha fatto veramente caldo (video qui) tre anni fa quando il mio viaggio mi ha portato sino a là.

Già  perché mica avevo programmato niente, non sapevo neanche se ci sarei potuto arrivare a causa del mio visto canadese. Poi una volta appurato che non c’erano impedimenti ho proseguito.

Ero sbarcato a Calgary con la vaga idea di andare sverso nord e per nord intendo veramente il NORD. Dawson City nello Yukon doveva essere la mia meta. Volevo attraversare le Montagne Rocciose, il British Columbia e vedere questo famoso Yukon e il suo affluente Klondike. Posti sognati e visti in libri, film e documentari. Pensai che da lassù ci erano passati davvero tutti: da Jack London a Zio Paperone, e continuavo a dirmi che non mi sembrava vero, e forse in parte non lo era, ma non m’importava ormai ero diretto in quella direzione.

Il percorso è stato costruito nei minimi particolari, nel senso che i particolari che avevo erano minimi per l’appunto. Avevo tutto l’occorrente con me per il campeggio: tenda (minuscola), sacco pelo (minuscolo pure lui per risparmiare sul peso, ma che freddo certe notti), materassino, fornellino, ed ogni tipo d’indumento che servisse dai -10 ai +30 ma che riuscissi a contenere in una borsa di appena 20 litri di capienza. Insomma mi sembrava di non avere niente, ma in realtà  avevo tutto.

Le strade mica le conoscevo, le avrei conosciute in loco. Così grazie ad un commesso di cui ho dimenticato il nome del MEC store (la catena di attrezzatura sportiva canadese) mi indicò un paio di opzioni e mi suggerì di andare da MapTown, un negozio di Calgary fornitissimo di cartine geografiche di ogni parte del globo. Ed anche là ho ricevuto ulteriori consigli sulle strade da percorrere e sulle loro condizioni.

Notai subito che in ostello non c’era molta socialità, tutti se ne stavano per i fatti loro con le loro cuffie ad ascoltare o a guardare qualche video. Tramite couchsurfing trovai Tamara che mi ospitò, mi dette ulteriori consigli e mi permise di sistemare le ultime cose in tranquillità prima di partire.

Partivo, ed oltre a non sapere esattamente per dove, sopratutto non sapevo esattamente per quanto. Il contratto a tempo indeterminato era oramai un ricordo, mi ero stancato di quel sistema di lavorare senza orario, in cui però dovevi essere sempre disponibile. Fu una gran liberazione che rifarei senza ombra di dubbio.

Così tutto è nato all’improvviso o meglio con una improvvisazione poco pensata. La voglia di stupirsi e vedere cose nuove era troppo forte, la voglia di lasciarsi sorprendere da quello che potevi trovare dietro la prossima curva e sticazzi conoscere la strada già  a memoria prima di partire con tracce gps e applicazioni varie. Poi il gps non serve a molto quando devi affrontare lunghi tratti, anche 700 km senza un bivio, l’unica accortezza è imboccare la direzione giusta, ma quello è un altro discorso.

Quello che ho imparato di questi luoghi l’ho imparato giorno per giorno, chilometro dopo chilometro dalle persone che ho incontrato lungo questo tragitto: da altri viaggiatori, o da locali o persone semplicemente in giro ognuna con storie differenti. Alla fine ho passato quasi tre mesi sulla strada e 5.000 di asfalto e sterrato sono passati sotto le mie ruote e, banale dirlo, ma sono letteralmente volati.

Mentre sto scrivendo questo pezzo ho un planisfero davanti a me, e guardando quella zona del mondo mi spavento. Non può essere così grande mi ripeto guardandola, se l’ho fatta io in bicicletta. Se prendo la stessa linea e la faccio partire dall’Europa arrivo dritto da qualche parte in Siberia. Allora il mondo non è così grande penso, e forse è vero, però è vario quello sì. Le persone fanno la differenza e in certi luoghi incarnano proprio lo spirito di quella terra.

Vorrei ringraziarli qui uno ad uno, tutti quelli che mi hanno aiutato, parlato, ospitato, offerto una birra, che mi hanno fatto lavorare, che mi hanno sorriso, ai tantissimi senza nome che mi hanno offerto anche solo pochi minuti del loro tempo per fare due chiacchiere. Tutti quelli che semplicemente sono stati loro stessi quando sono passato brevemente nelle loro vite. E grazie alla bicicletta che mi ha permesso di entrare in queste vite in un modo che altrimenti non sarebbe stato possibile. Non so, alla pari? Senza artifici? Senza supponenze? Con sudore? (quello si davvero) Senza timori? La parola più giusta credo sia con umanità. Viva la bici e chi la usa.

Stefano Elmi

Un saluto ed un grazie a:

Tamara Lamb. Emanuela e Gino Alzetta. Daichi. Kzuaki. Fernando Bergese. Ota Burian. Toel Kevin. David Kaberia. Paul Bardis. Lyndsey Klepping. Justin Wholey. Judy e Cor Van Der Meulen. Kaj Gyr. Douglas e Marcia Lawrence. Phil e Rosy Comte. Yves e Fredrique Duparfait. Kevin Ferrero. Jay e Kathy Rowe. Ben Ikerd. Robbin McKinney. Misaki Banno. Shunsuke Minoshima. 

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da sin.: Yves, io, Emanuela, Gino, Fredrique e Kevin (Tok, Alaska) Esterno notte, fonda

 

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scrittimaiali

2 pensieri riguardo “In Alaska fa caldo

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