Il mare si faceva sempre più lontano, dovevano ritornare verso l’interno per affrontare la montagna e da lì la discesa che li avrebbe condotti a una gloria certa. La strada proseguiva con lunghi rettilinei. Leggera salita, vento contro, fatica che aumentava, e velocità che mano a mano diminuiva. Per quanto mulinassero le gambe parevano fermi. Avevano già percorso 100km e ora all’orizzonte si profilava il tratto più duro della tappa. Si fermarono per fare un carico d’acqua in un distributore lungo la strada deserta. Entrarono e si diressero al frigorifero, non c’era anima viva all’interno, ed in maniera un po’ rozza urlarono per farsi servire. Si misero ad aspettare con quell’aria di sufficienza e un po’ scoglionata di chi si attende che sbuchi da dietro il bancone un benzinaio o un meccanico con la sua tuta sporca di grasso. Attesero qualche secondo, e invece sbucò fuori una ragazza meravigliosa vestita con striminziti pantaloncini di jeans e una piccola magliettina che le cascava da una spalla, lasciandola per metà nuda. Fantastica. I due si guardarono per qualche istante increduli di tanta bellezza in una stazione di servizio così sozza e spersa nel nulla. Prestanome, svuotò all’istante il frigo da tutte le bottiglie d’acqua e ci si ficcò dentro, urlando che non sarebbe ma più uscito. Contentezza ebbe un calo di zuccheri e si sdraiò a fianco della pompa di benzina. La ragazza, bellissima, non ci fece neanche caso e continuò a giocherellare col suo iphone. La stanchezza della tappa stava giocando dei brutti scherzi ai nostri due atleti. Prestanome dal vetro appannato all’interno del frigorifero, già si vedeva a passare la sua vita in quella pompa di benzina da onesto lavoratore, senza imprese gloriose, ma con una donna bellissima al suo fianco. Avrebbero fatto l’amore ogni sera, avrebbero avuto tanti figli che ogni pomeriggio dopo la scuola avrebbero lavato le moto dei tamarri del paese vicino in cambio di 1.000 Lek. Avrebbe parlato il lunedì mattina con gli avventori della pompa del derby di calcio Valona-Tirana, del troppo caldo in estate, del troppo freddo in inverno, del caldo anomalo in inverno, del freddo anomalo in estate e avanti così. Fino a che Prestanome non fu tirato fuori dal frigo dal padre della ragazza, con un principio di ipotermia subito recuperato per i 40 gradi all’ombra che c’erano all’esterno. Contentezza invece si era già avviato lungo il rettilineo. Prestanome ancora indugiava a montare in sella, era rimasto ad ammirare la giovane donzella che annoiata e senza entusiasmo faceva il pieno ad un furgoncino di un contadino. Aveva lo sguardo sconsolato di chi avrebbe voluto trovarsi nelle principali vie di Tirana a fare shopping e a passeggiare fra le vetrine, anche solo per sentirsi più importante, e a far girare gli sguardi dei ragazzi. Prestanome con la sua maglietta fradicia non se lo filava per niente, ai suoi occhi era come se non esistesse. “Domani mattina bella giovincella” pensò fra sé e sé “sentirai parlar di noi su tutti i giornali”. La sfida alla montagna ebbe inizio e Prestanome stavolta montò in sella.
Raggiunse Contentezza che subito lo mise al corrente di una brutta notizia. Durante la pausa alla stazione di servizio, il piccoletto e pimpante scalatore spagnolo Juan Heraldo Ochoa da Aranda Perdiguero conosciuto da tutti come Juan da Soma li aveva superati. Tragedia. Disfatta. L’animo si andava disintegrando. La gloria, la fama, i soldi, le donne, tutto parve svanire per Prestanome. La benzinaia sarebbe diventata solo una visione irraggiungibile, bisognava rimediare a tutto ciò prima che fosse troppo tardi. Ma come fare? Il vantaggio non era altissimo, ma la strada ora iniziava a salire. Mulinarono sempre più le gambe ma di Da Soma neanche l’ombra. I giornalisti con le loro motociclette li avevano informati che avevano circa 3 minuti di svantaggio sullo spagnolo. La sola forza non bastava, bisognava usare l’astuzia, e i due i misero a confabulare.
continua…
Stefano Elmi
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