
Siamo una banda un po’ sgangherata. Grace fatica a stare dietro al gruppo: le Stan Smith nuove di zecca non sono adatte al fango di questi campi e il timore di sciuparle è troppo alto.
– Belli sti bimbi! Guarda come dormono! – La normalità di una giornata parte dai saluti di Agnese, moglie di Marino, il padrone di casa. Mentre lui assieme alla sua ciurma sta pulendo le piante di fragole per poi metterle in congelatore e poterle utilizzare nuovamente a primavera.
Da una vita hanno le mani sporche di terra. Conoscono ogni cosa delle piante, degli alberi e degli animali. Se qualcosa non va se ne accorgono subito.
La classe non è certo una delle migliori, ma almeno per ora, è la mia. Ho studiato una giornata diversa per i beneficiari delle strutture SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) che, a seguito del decreto Salvini di circa un anno fa, ha sostituito lo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Gallicano e Fabbriche di Vergemoli. Una giornata alla fattoria didattica PODERE AI BIAGI guidati da Sara.
Un paio di giorni prima in aula stavo spiegando ai ragazzi la differenza che corre fra una grande produzione di bassa qualità e una piccola produzione di ottima qualità. Non so se sono riuscito a farmi capire pienamente, ma il concetto era passato. La piccola produzione non può competere con la grande, così, in uno slancio di non so cosa ho tirato una freccia gigante sulla lavagna facendo vedere che se questa piccola produzione si trasforma in una scuola ed insegna certi tipi di pratiche aggira la grande produzione e la prende alle spalle. E’ l’unica maniera di sopravvivere.
Sara ci da il benvenuto e ci racconta come è nata la fattoria e cosa producono. Ortaggi, frutta e ogni tanto della carne che viene venduta direttamente presso la fattoria oppure tramite il GAS (gruppo di acquisto solidale) di Barga, uno dei primi della zona ideato da Elena Bertoli, che ogni giovedì pomeriggio dalle 17,30 alle 18,30 si ritrova presso la sede comunale di via Roma, che ospita tutte le realtà agricole e non della zona. Negli anni diversi tirocinanti provenienti da diversi paesi si sono alternati all’interno dell’azienda, ora c’è Abdoulaye del Mali. Poi ci sono Pietro ed Alessio, un altro aiutante. I ragazzi dei centri diurni dell’AUSL della zona collaborarono costantemente con la fattoria.
La pioggia è cessata, così siamo pronti per uscire. Le carrozzine vengono lasciate nella sala e le mamme legano i figlioli alla buona maniera africana, ovvero sulla schiena.
La classe è, in ordine misto, sgraziata ma a suo modo presente:
C’è Cyril, che si millanta farmacista, sempre al telefono a parlare con chissà chi, che ha lasciato la figlia all’asilo e la moglie a lavorare. Genio. Poi c’è Festus assieme alla compagna Sandra e alla loro figlia Valentina, mentre un’altra sarà in arrivo a breve. Poi c’è Damilola e Mary, appena trasferiti col loro figlio dal nome impronunciabile. “Facciamo che si chiama Michele” fa lui ad un certo punto. C’è Grace come sempre vestita alla moda assieme alla figlioletta Alexis sulla sua schiena. Il marito è non pervenuto, ad eccezione del martedì che compare misteriosamente da non si sa dove. C’è Blessing, l’italianissima e cristianissima Benedetta che oggi se la gode: ha lasciato all’asilo una figlia e l’altro figlio al marito che è a casa. C’è Sandra, la madre di Emanuel un bambino fra i più buoni della terra credo, mai sentito fiatare, che oggi è all’asilo, mentre il padre Victor è ad un corso di cucina. Con noi Martina e Silvia che ha guidato il furgone della cooperativa fino alla fattoria.
Ad alcuni non frega niente, ad altri un po’ di più. Però quando vedono gli animali, un generale interesse e una specie di domanda che è il nostro equivalente del: che ci faccio qui scatta. E scatta anche nei più distaccati e apparentemente melanconici del gruppo. Ma almeno un qualche tipo di reazione c’è, non fosse altro per un europeissimo non mi voglio sporcare le scarpe di Grace.
Il livello della lingua qua non è importante. Siamo fuori, guardiamo, tocchiamo le cose e gli animali: Poldo e Dario, i due maiali. I tre asini: Sole, Luna e la figlia Venere. Due capre da cashmere e poi piante di noci, lamponi, meli.
-Non dovevano permettere di far abbandonare la terra dopo la guerra. Si è perso tutto – mi dice Marino molto rammaricato che prosegue – i politici hanno rovinato tutto –
L’abbandono del bosco e dei campi è arrivato di pari passo con la crescita delle fabbriche nella valle. Soldi facili, senza guardare al raccolto della stagione. Modernità e meno fatica per chi aveva vissuto del proprio lavoro da una vita.
La metafora di questo cambiamento è narrata nel libro: La storia di Barga e dei suoi mulini di Emilio e Raffaello Lammari. Sin dal 1500 i mulini sono documentati nel territorio di Barga. Nel momento di massimo splendore se ne contavano 47. Scesero a 23 dopo la Seconda Guerra Mondiale. Siamo a quota zero da ormai molti anni. E’ come se d’un tratto nessuno coltivasse più. Come se d’un tratto nessuno mangiasse più. Come se tutti all’improvviso fossero scomparsi da quelle montagne.
Guardando indietro è stato lasciato un deserto. Un deserto dei saperi, di come funzionano le stagioni, le piante, la natura. Un deserto sociale: pendolari e paesi dormitorio. Un deserto economico: perché alla lunga chi ci ha guadagnato sono sempre stati in pochi. Un deserto per la salute: nuove malattie che ci stringono come due mani intorno al collo per farci mancare l’aria. Evviva il progresso. Abbasso il progresso. Per fortuna che rimangono le fragole, che poi è quello che m’interessa.
-Marino io a casa ho delle fragole, ma sono ormai totalmente fuori controllo. Non ci capisco niente –
-Vedi queste fragole? – fa lui deciso – Devi tagliare queste cime e poi rimetterle nella terra. Così avrai un’altra pianta. Mettile al coperto oppure mettici sopra il tessuto non tessuto che altrimenti sentono troppo il freddo –
Cipolle, radicchio, insalata di tutti i tipi, finocchi sono quello che troviamo dentro la serra. Il terreno non è fradicio di acqua come all’esterno e il sistema di irrigazione innaffia regolarmente gli ortaggi. Mentre le piante invernali come il cavolo nero se ne sta bello bello nel suo posto preferito, fuori al freddo
-In questo campo abbiamo piantato il farro la scorsa settimana – ci dice Sara – il prossimo anno, una volta raccolto, non lo ripianteremo nello stesso campo ma lasceremo riposare questa terra e pianteremo il farro in questo campo a lato, che invece quest’anno si sta riposando-
Tutta la classe all’istante riconosce un albero: è un banano. Guardano le piccole banane che non riescono a maturare. Per loro è un ritorno alle origini. A piccoli passi è forse l’unica soluzione possibile per tutti.
Stefano Elmi
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