
Che viva il Leccio!
Oggi è il giorno di rimanere in città, o meglio ci giriamo intorno ed è il tempo di fare un esperienza eccezionale. Roba da far sussultare persino l’inglesissima coppia di Manchester.
L’obiettivo di oggi è arrivare al Leccio in tempo per il pranzo. In tempo vuol dire in tempo. Se arrivi cinque minuti dopo l’orario stabilito non si mangia e il dover scalare nuovamente le colline a stomaco vuoto non è cosa da scherzarci su.
Il tipo al quale siamo seduti accanto ha quasi finito di mangiare. Anche il suo enorme cane, che col guinzaglio è legato alla sedia, sembra aver finito di mangiare. Ma non deve aver digerito molto bene, c’è una piccola montagnetta davanti a lui: è il suo vomito. Il padrone è intento a parlare al telefono ad alta voce del più e del meno. Il cane se ne sta rannicchiato in un angolo il più lontano possibile dalla sua montagnetta.
Noi ci siamo accorti benissimo del vomito appena arrivati, anche la coppia inglese e gli altri che schifati si sono fatti tutti giustamente da parte. Comunque tutto bene, ci siamo, il piano si sta realizzando, e siamo appena arrivati.
Quando sono arrivato qui per la prima volta fu come un tuffo nel passato. Mi sembrava di tornare nel bar/bottega di mia zia Marisa a Porta Macchiaia a Barga. Tutto come allora. Arrivavo in bicicletta e l’appoggiavo al muro, poi entravo. Tavolini di formica, bancone con i bordi metallizzati, macchina del caffè che dominava tutto. Televisore accesso su non so cosa, omini intenti a giocare a carte, altri a guardare giocare a carte ed altri ancora fuori a parlare del tempo e dell’orto, e quel fare, anche con i forestieri, di come se ci conoscessimo da sempre.
Il bagno è fuori, dall’altra parte del piazzale, al limitare del campo ed è già campagna. E’ periodo di vendemmia e gran parte degli avventori arrivano dalle vigne vicine. Il parcheggio è intasato dai trattori, chi carico e chi scarico.
Le due arzille australiane sono interessate a questi omaccioni che coi loro jeans luridi salgono e scendono dai trattori. Loro manco le considerano.
Nel frattempo che attendiamo il pranzo il nostro amico che parla ad alta voce al telefono ha dato segni di evidente squilibrio, è chiaro anche da chi parla un’altra lingua. Viene preso per quello che è.
Fortuna che qualcuno per lui si accorto della vomitata del cane e l’ha tolta. E’ arrivato al caffè e forse ci salviamo dal continuo della telefonata. Ma anche colui o colei che sta dall’altro alto si deve essere stancato o stancata e ha riattaccato. L’amico prova un approccio col cane che manco ci pensa a scambiare una scodinzolata col suo padrone che gli ha dato da mangiare chissà cosa che lo ha fatto vomitare.
Primo, secondo, contorno, dolce e caffè dieci euro. Più di così non si può fare per un pranzo di lavoro. Eppure c’è chi mi chiede: ma se prendo solo questo e quello quanto costa, e se prendo questa e quella quanto costa. Il conto separato è una pratica anglosassone molto noiosa se adottata in paesi dove la cultura non lo prevede. Applicarla al Leccio è semplicemente impensabile.
Ora bisogna capire che questo non è un pranzo, ma un’esperienza. Mangiare al Leccio non si paga solo il cibo, si paga tutto quello che ci sta intorno. Le colline quelle vere, le vigne quelle vere, ma sopratutto le persone quelle si verissime. Ed anche la lumachina, anche lei molto vera, che se ne sta nell’insalata colta cinque secondi prima dietro casa. E’ la prova della qualità e non è stecchita sotto l’effetto di qualche pesticida chimico.
Pasta al ragù in gran quantità. Carne ai ferri con l’insalata del campo. Un unico caffè alla fine, il mio.
Che viva il Leccio!
Al pomeriggio così risaliamo le colline in modo migliore: con la pancia piena. Sulla via del ritorno ci fermiamo alla fattoria Bordocheo.
Barbara è sempre molto ospitale e competente in fatto di vino ed olio. Tutte le volte ci fa sentire a casa accogliendoci con bottiglie di acqua fresca dopo aver fatto la salita che conduce alla fattoria. E’ molto premurosa e ci tiene a noi. Anche perché su quella salita regolarmente qualcuno muore e così le sorsate di acqua fresca alleviano un poco lo sforzo e riducono la mortalità nel dopo pranzo.
Io, molto professionalmente assaggio solo l’olio. Non esagerate col vino dico agli atleti, che ci sono sempre una quarantina di minuti di strada da percorrere per arrivare all’hotel. Appena usciti comincia a piovere. Classico. Ci inzuppiamo per tornare in città al crepuscolo, ma la soddisfazione regna sulle facce degli atleti ormai fradici, o forse sono ancora avvinazzati.
Domani lasceremo la città con le mura intorno.
continua…
Stefano Elmi

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