
-Onde di sei metri. Oggi non si può partire – è il buon Capitano Abelardo che parla.
Onde di sei metri? In un lago? Davanti a noi splende un timido sole e le acque sono calme. Capitano Abelardo è chiaramente lanciato in pasto ai naviganti dalla compagnia turistica che ci fa pagare caro il prezzo per portarci dall’altra parte. Lui è un uomo in evidente età da pensione che arrotonda in estate la magra pensione cilena. Chissà se ha mai visto onde di sei metri da queste parti e rimbroccato dal manager prosegue:
-Qui vedete queste condizioni, ma laggiù a due ore di navigazione da qui, vicino al ghiacciaio il tempo è peggiore –
Comunque la barca non è piena e questa è già una buona scusa per non partire e rinviare la partenza a domani. Assieme ad altri cicloturisti torniamo mestamente al paese.
A Villa O’Higgins c’è poco da fare. C’è un francese metallaro che ha aperto un bar. C’è un distributore di benzina, un campeggio, una piazza rotonda, nuova e vuota. C’è la scuola ma è chiusa per le vacanze estive. La storica chiesa dei missionari salesiani se ne sta lì un po’ traballante, poco più in là ci sono un paio di alimentari.


Il giorno seguente si parte. Siamo molti di più del giorno precedente. Arrivano anche degli Americani con le loro fat-bike. Arrivano esattamente cinque minuti prima di salpare e sono i primi a salire. L’odio mi assale, ci assale. Noi assieme ad una ciurma variegata e ben nutrita siamo da almeno tre ore ad aspettare al freddo sotto una tettoia per ripararci dalla pioggia.
La navigazione fila liscia e dopo un paio di ore sbarchiamo a Candelario Mancilla, una manciata di baracche dei Carabineros Cileni di confine. Qui inizia una trafila lunghissima per avere un minuscolo timbro sul passaporto.
Noi siamo gli ultimi della fila, forse per scelta, forse no. Il freddo aumenta. Dalle tre del pomeriggio attendiamo sino alle sette di sera. Partiamo all’imbrunire come forsennati per scaldarci. I primi venti chilometri sono di una strada sterrata malandata. Alcuni cavalli liberi ci precedono e poi ci affiancano lungo il tragitto. Dopo un minuscolo aeroporto in terra battuta all’interno di una piccola valle, ecco sbucare dal nulla da dietro gli alberi il cartello della bianco celeste della Repubblica Argentina.
Qui la strada si trasforma in un sentiero che durerà per cinque chilometri e quasi tre ore per giungere al Lago Desierto, dove si trova la baracca dei gendarmi argentini di confine.
Arriviamo ben oltre la mezzanotte, al freddo e tutti infangati, dopo aver guadato un torrente a piedi scalzi. In un secondo un gentile milite ci apre la porta, ci fa il minuscolo timbro e ci indica il campeggio sotto ad alcuni alberi. Montiamo la tenda e il sacco a pelo ci inghiotte La sera sarà freddissima. Alla mattina nevicherà.
Arriviamo ad El Chalten, il posto mitico per le scalate al Fitz Roy e Cerro Torre. Reso famoso anche per il suo skyline utilizzato dalla famosa marca di abbigliamento sportivo.
Però qua la cosa più mitica in cui ci imbattiamo sono questi piccoli locali da happy hour, tutti luminosi, quasi uguali e abbastanza finti. Scappiamo dopo aver mangiato una frittata pagata a caro prezzo.
Le grandi pianure patagoni spazzate dal vento ora sono davanti a noi. Le Ande con le loro nuvole incastrate fra le vette aguzze a poco a poco si allontanano alle nostre spalle.
continua…
Stefano Elmi writer_rider
Martina Rosati artist_rider
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