A Seward ha smesso di piovere dopo che ho perso il conto dei giorni. Ricordo solo che due giorni prima avevo passato otto ore in un caffè, praticamente ho fatto un turno di lavoro coi camerieri. Era l’unico posto aperto in paese la domenica e per tutto il giorno ha piovuto ininterrottamente e la tenda, non so come, ha resistito stoicamente. Il giorno seguente, ha continuato a piovere inesorabilmente, era lunedì però e così mi sono rifugiato nella biblioteca pubblica. Fine agosto e la stagione estiva è ormai finita qui.
La sola cosa che sono riuscito a fare a Seward è stato cogliere una finestra di qualche ora di non-pioggia per andare all’exit-glacier. Un piccolo trekking che ti porta alla base di un ghiacciaio. Mano mano che arrivi, a dire il vero parecchi chilometri prima, dei cartelli con su scritto l’anno ti ricordano dove arrivava la lingua del ghiacciaio: 1899, 1910, 1925, 1955, 1978 e così via fino ad anni più recenti. Una sensazione un po’ inquietante.
Alla fine di Seward, oltre uno degli innumerevoli cartelli di ‘pericolo tsunami’ c’è una piccola stradina sterrata dove finisce quella asfaltata, la percorri ed arrivi a Lowell Point. Ti lasci alle spalle qualche garage che vende e ripara barche e motoslitte e poi guardi il mare e vedi delle cose saltare dall’acqua in lontananza, metti a fuoco e capisci che sono pesci. Saltano di continuo e sono decine e decine: sono salmoni. Lo stesso vicino all’entrata nel porto. Pescatori di tutte le età li aspettano, li pescano, poi con una mazza di legno li finiscono e l’acqua si tinge di rosso.
-Riprovi per favore
-Ho provato ma non funziona. Non ha contante?
-No, dovrei cercare un bancomat
-Lasci qui un documento e vada alla fine della strada ne trova uno
Sono lì che giro alla ricerca del bancomat che non riesco a trovare, e una vetrina un po’ diversa dalle altre attira i miei occhi e preso dalla curiosità entro.
Perlustro un po’ gli scaffali mentre il signore dietro il banco è occupato con dei clienti. Icone russe assieme a delle matriosche, scacchi assieme a falci e martelli vari, cappelloni a padella e berretti da carrista tutti pelosi, poi alcuni poster e cartoline da realismo socialista e addirittura una bandiera degli Stati Uniti con dei teschi al posto delle stelle.
Una volta liberato dai clienti gli chiedo:
-Scusi sa dov’è un bancomat?
-Si certo vai di lì e poi di là e poi subito dietro l’angolo e lì lo troverai – mi dice il signore con forte accento russo.
-Grazie – ed esco
Trovo il bancomat e torno a pagare la cena al pub. Ripasso davanti al negozio russo e i miei occhi si incollano nuovamente alla vetrina di questo posto singolare. Da qualche giorno ho in testa qualcosa, stavolta il signore è solo, entro e chiedo.
-Salve, senta mi scusi volevo chiederle se ci sono ancora dei villaggi russi nella penisola di Kenai?
-Ma sì specialmente sulla costa orientale puoi trovare molte chiese ortodosse e i cognomi delle persone in molte di queste comunità sono russi.
-Ma veri e propri villaggi?
-Fammi pensare, sì c’è un paesino, dove non sono mai stato e di cui ho dimenticato il nome, sulla strada per Homer. E’ una comunità interamente russa, e gli abitanti appartengono agli old believers (vecchi credenti) una congrega della chiesa ortodossa russa che segue il vecchio rito.
-Puoi scrivermelo su un pezzo di carta?
-Si certo ecco. Loro sono un po’ diversi dagli ortodossi tradizionali, non hanno accettato le riforme introdotte fra il 1666 ed il 1667. Sono abbastanza chiusi, conservatori e non è facile entrare in contatto con loro. Seguono tutti i vecchi rituali della chiesa ortodossa: ad esempio per farsi il segno della croce usano ancora due dita, mentre tutti gli altri ortodossi ne usano tre – e mi mostra le due interpretazioni con un rapido gesto delle mani.
Bisogna fare una deviazione nell’entroterra di circa una trentina di chilometri sulla strada per Homer in fondo alla penisola di Kenai, e lì si trova Nikolaesvk, il paese dei vecchi credenti. Ecco un’ulteriore scusa per non far finire questo viaggio.
continua…
Stefano Elmi
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