Antonio, professore di agronomia all’università del Mato Grosso in Brasile, è sempre sorridente sulla sua mountain bike. Alla sera ce lo ritroviamo vicino di camera a Villa Amengual.
Ci siamo conosciuti alla mattina, lungo la strada che da Puyuhapi saliva verso un passo nel bel mezzo del parco di Quelat. Eravamo in una specie di foresta pluviale, poi mano mano che salivamo abbiamo alzato lo sguardo e abbiamo visto i ghiacciai. Una volta in cima tutto era cambiato. Eravamo circondati da pascoli verdi e lussureggianti di montagna.
Antonio e’ partito da Puerto Montt e vuole pedalare tutta la Carretera Austral. È da solo e viaggia molto leggero. A fine strada troverà la moglie per una breve vacanza. Ci scambiamo i numeri di telefono, perché nel caso, potrebbe essere utile ci dice.
Alla mattina a colazione la signora della locanda ci informa che a Villa Maniguales, dove siamo diretti, la strada è bloccata dalle proteste dei minatori.
– Solo bici e pedoni possono passare, quindi voi non avete problemi. Altrimenti in auto bisogna fare un altro giro –
Delle signore cucinano in alcuni pentoloni poggiati sui cassoni di alcuni pick–up, sono le mogli dei minatori. Ci avviciniamo al ponte che segna l’ingresso in paese, da dove arriva un denso fumo nero di copertoni bruciati. Tronchi d’albero e cavi d’acciaio sono stesi alle due estremità: il blocco non si può forzare. Tutti i minatori sono seduti a bordo strada ed hanno delle mascherine per difendersi dal fumo. Alcuni giornalisti chiacchierano attorno ad una telecamera spenta. Una bandiera del Cile sventola sopra a delle fiamme.
Chiedo a tre persone in piedi dietro ad un furgone se possiamo passare
– certo – fa uno di loro – vi diamo una mano –
Ci mettiamo i fazzoletti sul naso e attraversiamo il ponte.
– Sono circa due mesi che non ci pagano. Lavoriamo in una miniera a circa 30 km da qui dove estraiamo oro e platino. Siamo in 600 persone, principalmente siamo tutti di Coihaique. È dura, la compagnia non ne vuole sapere di noi –
Il minatore si leva il guanto annerito per darci la mano. Ringraziamo dell’aiuto, augurandogli suerte.
In questi giorni abbiamo incontrato molti ciclo–turisti viaggiare in tutte le direzioni: i chiassosi ragazzi cileni con le loro mountain bike. L’argentino solitario che tutte le volte dice di aspettare un amico che è dietro di lui, ma questo non arriva mai. John l’americano con la sua Trek dalle ruote troppo sottili per la Carretera, che si segna i nostri nomi su di un taccuino mentre ci scambiamo informazioni sulla strada.
Christopher, americano di origine ma rumeno di adozione, che legge Dante in italiano. È partito tre mesi fa da Lima in Peru da solo. Gira con la sua bici con tutti gli accorgimenti da giro del mondo. È super pesante ed ha una tenda maxi rimasta dai tempi in cui era sposato. Parla sempre della ex–moglie. Una sera ci regala una bottiglia di ottimo vino cileno che si porta dietro da un bel po’ di tempo, ma che non può bere e non ha più voglia di portarsi dietro.
E poi i tanti visti in tutte le direzioni con cui abbiamo scambiato solo un saluto. Anche una coppia con una bimba. Ma sempre molti i solitari.
Arriviamo a Coihaique, la cittadina più grande sulla Carretera, e ci sentiamo come persi. Non capire dove trovare una birra da bere in questi 30 gradi andini. Non riusciamo a trovare neanche un posto decente per dormire. Appena entrati e già vogliamo scappare da questa civiltà.
Continua…
Stefano Elmi, writer_rider
Martina Rosati, artist_rider
Scrittimaiali