Giro a sinistra e la strada scende ripida ripida fino ad un ponte che attraversa un piccolo torrente e poi di nuovo su, e lei sempre ripida ripida. Superata una semi curva intravedo la piccola stazione dei pompieri volontari, sono arrivato a Nikolaevsk.
Nell’unica strada del paese c’è il grocery store assieme all’ufficio postale, poi la scuola e poi dietro lo steccato dipinto di bianco e un gruppo di alberi da frutto ecco la chiesa russo ortodossa del vecchio rito sovrastata dalla sua cipolla a strisce bianche e celesti. Un cartello all’entrata dice che la chiesa e la comunità di Nikolaevsk sono state fondate nel 1968.
Poco più in là una grande cipolla se ne sta ingabbiata in una struttura di legno poggiata sul terreno, proprio davanti a quella che pare essere una chiesa nuova, molto più grande della vecchia, ma ancora tutta in costruzione.
Dopo la chiesa la strada diventa sterrata e si perde nella boscaglia, il paese è già finito. Un dettaglio: tutto è silenzio e non si vede nessuno in giro.
Sono arrivato a Nikolaevk dopo circa tre giorni dall’incontro col signore dal forte accento russo nel suo negozio di souvenir a Seward. La scorsa notte ho trovato alloggio a pochi chilometri da Homer, ma non mi andava di finire così, dovevo venire fin quassù, e se ci fosse stato un altro paesino sopra sarei andato anche lì, e ancora più sopra se ce ne fosse stato un altro.
Ma bisogna anche essere realisti ad un certo punto, il più tardi possibile perché i sogni hanno bisogno di tanto spazio, ma bisogna esserlo. Se la strada è finita, è finita. E’ sempre una sensazione contrastante fra tristezza e gioia. Tristezza perché è finita e gioia perché è finita bene.
Quando sono partito da Calgary avevo la vaga idea di andare verso nord attraversando luoghi che da tanto tempo volevo vedere e pensando che qualcosa sarebbe successo. Dawson City doveva essere la mia metà finale, però poi la strada continuava e come facevo a lasciare la curiosità chiusa in un cassetto. No, no sempre avanti. Però ora qua è diverso, fa freddo e piove tutti i giorni, e poi la strada finisce per davvero. Dopo Homer solo l’isola di Kodiak coi suoi orsacchiotti giganti e poi le Isole Aleutine con l’isola di Attu, dove vi fu l’unica battaglia della seconda guerra mondiale combattuta su suolo americano, e dove i vecchi abitanti hanno i tratti asiatici.
Insomma faccio tutta questa serie di ragionamenti da solo e se qualcuno mi vedesse come minimo mi guarderebbe con stupore, ad essere proprio gentili. Ci vorrebbe una sosta ora, qualcosa di caldo per asciugarsi un po’ e lasciar la testa e i suoi pensieri vagare liberamente senza volerli afferrare ogni secondo, quando ce n’è uno che non torna tanto.
Dietro una casa scorgo un posto che forse può andare, anche perché sembra essere l’unica cosa di aperto in questo posto. Il caffè-ristorante si chiama Samovar, tanto per far capire che da che parte stanno. Mentre entro nel parcheggio da una casa di lato una signora con una grossa gonna colorata e con un fazzoletto legato sulla testa chiude la porta dopo che ha salutato un uomo con una barba lunghissima e vestito con una tunica.
-Buongiorno! Cerca me?
-Buongiorno, non saprei, vorrei un tè caldo per favore
-Vieni, vieni, entra pure. Deve essere freddo in bicicletta con questa pioggia
-Sì abbastanza
E’ come entrare dentro una bomboniera fatta di souvenir tutti plasticosi e coloratissimi, fotografie di persone in costume tipico, fotografie di Vladimir Putin messe qua e là sui muri sempre vigile a sorvegliare. E poi fiori, vasi, matriosche, tutto alla rinfusa tutto vagamente molto kitsch, anzi tutto veramente molto kitsch. La signora si accomoda dietro il banco a forma di mezza luna, si leva il fazzoletto dalla testa e si mette una specie di corona o che so io e inizia a comandare.
-Noi avere zuppa di gulasch, biscotti di Siberia e buonissimo infuso di erbe di Alaska
-Sì grazie, ma mi basterebbe un te per favore, sa per scaldarmi un po’ con questo tempo.
-Ma tutto molto buono qui. Cucina tipica di Russia. No trovare posto simile in tutta Alaska.
– Sì ci credo, ma mi basta un tè per oggi grazie
-Va bene allora preparo zuppa, biscotti e te’!
-No guardi…
-Zuppa, biscotti e tè per lei!
-Zuppa, biscotti e tè per me…
-Se sedere qui a banco dove è ora c’è costo extra di 50 dollari. Qui è come esperienza russa completa sai
-Esperienza russa completa? E se mi siedo fuori nella veranda?
-Fuori no costo extra
-Ok mi siedo fuori. Ma senta posso farle alcune domanda sulla vostra comunità?
-Certo! Ortodossi veri noi! Pregare con due dita, vedi! No come altri con tre dita, vedi!
-Si va bene, ma perché vi siete stabiliti proprio qui in Alaska?
-Per tutte altre domande ecco qui le risposte!
Sbammm! Un opuscolo bello unto e consumato, fatto di fotocopie e rilegato alla meglio buttato lì sul banco del comando.
-Tu leggi forza! Tutto è qui dentro!
Non è esattamente come me l’aspettavo, comunque mi siedo nella veranda con l’opuscolo bisunto.
La comunità di Nikolaesvk è piuttosto recente, la fondazione risale al 1968 quando un gruppo di esuli russi, legato prevalentemente ad un paio di famiglie, dopo tanto girovagare e qualche generazione dalla Siberia, dove si erano rifugiati dopo le riforme introdotte nel Seicento, si muovono in Cina dopo che i bolscevichi prendono il potere nel 1917. Dalla Cina, dopo la seconda guerra mondiale quando i comunisti prendono il potere anche lì si spostano in Brasile, dopo di che in Oregon negli Stati Uniti ed alla fine in Alaska. Il loro posto ideale per stabilirvi la comunità anche perché piuttosto isolato rispetto al precedente. Prima di tutto costruirono la chiesa e poi tutt’intorno le case.
Poi c’è la storia del caffè ristorante Samovar, dove sono finito. La signora con alle spalle studi di lettere e un lavoro come insegnante, una volta in pensione decide di mettere su questo posto per mantenere viva la comunità di Nikolaesvk. Alla fine dell’opuscolo, c’è la descrizione dei componenti della famiglia, dove tutto è volto a sottolineare come la seconda generazione sia perfettamente integrata nel tessuto sociale dell’Alaska e sopratutto come il figlio sia diventato un business man di successo ad Anchorage, facendo cosa però non è specificato. Potrei chiedere, ma lascio perdere.
-Ecco zuppa, biscotti e l’infuso
-Molte grazie signora
-Su avanti dare cellulare a me!
-Che cellulare?
-Il tuo, io fare foto!
-Che foto?
-Foto con mangiare tipico russo! Avanti dare cellulare!
-Eccolo
-Ma no, no!
-Cosa c’è ora?
-Fare faccia felice! Forza!
-Così?
-Alzare cucchiaio ora?
-Così?
-Sì così! Felice?
-Felicissimo
Mi sento un idiota, per fortuna incontro lo sguardo di due turisti tedeschi, anche loro un po’ persi dentro il Samovar caffè. Ci facciamo tenerezza a vicenda.
-Scusi signora, cos’è quella grossa cipolla ingabbiata di fronte alla chiesa?
-Quella è per nuova chiesa, ma soldi ora finiti. Tutto così da tre anni –
-Senta e….
-Allora io avere buonissima zuppa di gulasch, biscotti di Siberia e infuso di erbe di Alaska. Va bene! Porto queste cose allora! Torno subito!
Anche i turisti tedeschi non hanno scampo davanti alla signora.
Uscendo dal paese incrocio due donne con i fazzoletti legati sulla testa e delle enormi sottane mentre escono da un campo. Prendo la discesa velocissimo ebbro di zuppa di gulash e risalgo lentissimo verso l’altra costa. Faccio un giro diverso, prendo una strada sterrata che arriverà a qualche chilometro da Homer, che è come la capitale liberal-hippie dell’Alaska, ma qui il tempo sembra essersi fermato.
Attraverso campi coi covoni di fieno e contadini che coi loro vecchi trattori sono intenti a lavorare la terra. Chiudo gli occhi e li riapro, se non fosse per le targhe delle automobili sembrerebbe di stare da qualche parte al di là dello stretto di Bering, o forse sono già dall’altra parte dello stretto?
continua…
Stefano Elmi
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