Una serie di puntini più o meno minuscoli si muovono su un crinale. Un signore ha parcheggiato la macchina a bordo strada, ha piazzato un cannocchiale sul cofano e scruta la montagna, come mi faccio vicino mi invita a guardare. E’ un branco di caribou, una cinquantina forse più, che pascolano su un crinale erboso. Tolto l’occhio dal cannocchiale ritornato minuscoli puntini in mezzo a questa vastità. Saluto e riparto.
Torno a pedalare e a fantasticare allo stesso tempo. Penso di essere sul più grande altopiano in cui sia mai stato, poi succede che giungi in cima ad un passo, oppure giri intorno ad una montagna e un altro altipiano ancora più vasto del precedente con montagne e ghiacciai ancora più pazzeschi si aprono davanti a te, e avanti così per quattro giorni interi.
Anche se per decine e decine di chilometri trovi degli avvallamenti che ti fanno vibrare la bicicletta assieme a tutte le ossa incessantemente per ore ed ore, e quando ti fermi per una sosta sembra che tutto intorno a te continui a muoversi, quello che ricordo bene di quei giorni passati sulla Denali Highway, oltre ad un gran male al collo, è lo stupore.
Uno stupore naturale, mai forzato. Uno stupore da farti stare continuamente a bocca aperta, nonostante la gran polvere, con un sorrisetto da ebete stampato in faccia e nessun pensiero o parola particolare per descrivere questi momenti.
Semplicemente l’esser qui, così in questa maniera, forse un po’ stramba per alcuni, ma esserci e andare avanti. Felice di essere padrone della propria strada assieme alle centinaia di immagini impresse nella testa chilometro dopo chilometro.
Come ogni cosa che finisce sono contento di avercela fatta, ma triste allo stesso tempo. Inizio a pedalare sulla strada asfaltata in direzione sud verso Anchorage. Monotona con tanti bus di turisti che fanno avanti e indietro. Fra un giorno comincerà a piovere e non smetterà per un’intera settimana.
Un tipo loquace dell’Oklahoma e un giapponese muto saranno gli ultimi cicloturisti che incontrerò in questo viaggio senza apparenti mezze misure.
Il tipo che viene dall’Oklahoma parla tutto veloce con un accento maledetto che fatico a stargli dietro, è tutto super tecnico e firmato fin nei dettagli. Spegne l’altoparlante con la musica, che controlla da un joystick sistemato sul manubrio, e che tiene attaccato sul davanti anche sotto il diluvio. “Waterproof” mi dice. Mentre ci presentiamo scruta centimetro per centimetro la mia attrezzatura, gli parlo ma lo vedo che guarda e valuta.
-Belli quei freni! Da dove vieni?
-Da Calgary, e tu?
-Dall’Oklahoma e dove vai?
-Ad Anchorage e tu?
-In Sudamerica
-Ah ok… scusa ma perché stai andando a nord?
-Perché voglio raggiungere il circolo polare artico, girare la bici e dopo di che scendere verso sud.
La Dalton Highway, la strada in questione che raggiunge il circolo polare artico e poi le rive dell’Oceano Artico è stata costruita per l’estrazione del petrolio circa 50 anni fa. Lui ci tiene a precisare come tutto ciò sia contro la sua etica di ciclo-viaggiatore, per cui sottolinea con dovizia di particolari, come lui pedali sulla quella strada solo per raggiungere il circolo polare e non andare oltre. Sembra che si debba giustificare, non capisco da chi o da cosa.
-Ma tu fai molti giri in bicicletta di questo tipo? mi chiede
-Beh, sì ho fatto dei giri in Europa ed in Europa dell’est, però questo qui è il più lungo per ora. Sono circa due mesi che sono in giro
-Io lo scorso anno ho viaggiato per 9 mesi, quest’anno son partito da casa e voglio stare via almeno 2 anni.
Non avevo dubbi che aveva fatto più di me. Diluvia, i camion che sfrecciano a bordo strada ci inondano di nuvole d’acqua, sono chiuso nel mio cappuccio e sono praticamente sordo, in certi momenti sarei più delicato, ma ora proprio no.
-Ma tu non lavori mai?
All’inizio sembra rimasto un po’ male alla domanda, poi prende le misure e risponde.
-Ma si ho lavorato tanto in passato ed ora me la godo: I enjoy riding my bicycle and smoking weed! Farò un pausa a Victoria, nell’isola di Vancouver, per rilassarmi un po’ poi proseguirò.
E’ entusiasta di questa strada.
– E’ fatta per rilassarsi – mi dice
– Io la trovo noiosa- gli rispondo – vengo da quattro giorni meravigliosi sulla Denali Highway e questa strada monotona senza panorama e piena di traffico mi fa cagare, poi diluvia e non c’è un posto caldo dove fermarsi –
E lui continua tutto entusiasta, dice di avere fatto le strade che ho fatto io, in British Columbia e Yukon però ora lo trovo che sta andando in direzione inversa. Non lo so, non ci capisco più niente. Poi vuole andare in Europa e mi fa un elenco completo di paesi che non finisce più.
-Ciaooooo – e me ne vado
Ma poi l’Oklahoma, dove cazzo è?
Quando incontro il giapponese muto, il diluvio è cessato, e sarebbe bello scambiare due chiacchiere, anche solo per riposarsi un po’ ma non è proprio possibile. L’unica cosa che mi dice è Giappone e Fairbanks, ovvero il posto dove sta andando. Ci salutiamo e ripartiamo nelle nostre opposte direzioni.
Per un breve istante le nuvole si aprono e i 6.200 metri della Grande Montagna, questo il significato di Denali, si mostrano con discrezione per pochi minuti. Ufficialmente gli hanno cambiato nome solo pochi anni fa e pare che l’ex presidente McKinley si sia risentito dall’aldilà, ed anche qualche politico dall’aldiquà ma la Grande Montagna sicuramente era presente molto prima di loro.
Ps.
Poi di quell’orso in quel canyon a forma di trappola non c’era alcuna traccia.
continua…
Stefano Elmi
scrittimaiali