Tok Tok

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Yvés, io, Emanuela, Gino, Fréderique, Kevin – Tok, 1 Agosto 2017

Domani saremo ognuno per la propria strada. Io verso la Denali Highway. Yvés e Fréderique verso la Top of the World Highway, Kevin pure, ma farà un po’ di autostop perché ha ancora i postumi di un virus intestinale. Gino ed Emanuela invece saranno sulla strada più breve per raggiungere il Canada, quella che passa da Beaver Creek.

Per qualche ora i nostri viaggi si sono incontrati e le nostre strade sono diventate una sola. Per una sera le nostre storie personali, le mille cose e persone viste e conosciute lungo i nostri percorsi sono diventati i racconti per farci compagnia. Abbiamo mischiato esperienze, impressioni, avventure belle e brutte, il tutto raccontato in un miscuglio di inglese, francese, spagnolo e italiano piacevole da ascoltare.

Alla mattina ero stato al locale ufficio informazioni dove non sapevano più o meno niente della Denali Highway. Così camminando per il paese vedo un tipo che pareva saperne qualcosa di più. Seduto in un parco stava consultando delle mappe, aveva a fianco a se una bicicletta carica.

E’ così che ho conosciuto Yvés e poco dopo anche Fréderique, sua moglie. Sono una giovane coppia francese che sta viaggiando da Dead Horse, sulle rive del Mar Artico, all’Argentina. Sono qui da un paio di giorni assieme ad un altro ragazzo francese, Kevin, che hanno conosciuto lungo la strada, e che la scorsa notte hanno accompagnato al piccolo ospedale locale perché non stava molto bene.

-E’ arrivato questo signore con uno zainetto da trekking sulle spalle dentro il pronto soccorso e ha detto di essere il dottore – dice Yvés – ed era molto affabile: in Argentina in bicicletta? Cosa avete fatto di male ragazzi? Fammi vedere cosa hai. Deve essere un virus intestinale, hai perso molti kg. Di solito consiglio una bella bevuta al pub di Tok per recuperare le forze, ma per te farò un eccezione, prendi queste pasticche e bevi tanto té caldo. Una visita assurda, tutta così, ma era molto competente comunque –

Yvés mi da un sacco di informazioni utili sulla strada che voglio fare. Lui e la moglie l’hanno appena percorsa ma in senso inverso, mi da anche un piccolo opuscolo che ti dice miglio dopo miglio dove potrai trovare qualcosa da mangiare e delle sorgenti d’acqua. Si rivelerà un regalo molto prezioso.

Fréderique sta scrivendo molte cartoline da inviare ad amici sparsi un po’ in tutto il mondo. Ci diamo appuntamento a più tardi per fare due chiacchiere.

Sono al supermercato quando vedo arrivare Yvés direttamente all’interno in sella alla sua bici carica di borse. Ride e fissiamo per vederci alla sera dietro la stazione di servizio dove hanno piantato la tenda.

Rimedio due birre e mi unisco a loro. Quando arrivo ci sono anche due italiani, Gino ed Emanuela, con la loro moto e la bandiera delle Repubbliche Marinare appesa dietro e subito la mente va a qualche migliaio di chilometri prima. Era appena passata una settimana dall’inizio del mio viaggio quando arrivai a Lake Louise sulle montagne rocciose, e ricordo bene che vidi questa motocicletta con quella stessa bandiera sventolante in lontananza in un parcheggio e due persone che scendevano di sella. Poi preso da altre cose me ne andai.

– Ci sta che eravamo noi – dice Gino – siamo stati un po’ da tutte le parti. Siamo partiti dal Costa Rica dove abbiamo acquistato questa moto cinese 250 per pochi soldi e abbiamo guidato in direzione nord, manco sapevamo che la Dalton Highway per arrivare sulle rive del Mar Artico era una meta così famosa per i motociclisti –

Siamo tutti intorno al fornellino di Yvés e Fréderique, che è intenta a cucinare delle tapas con dell’humus. E’ notte, ma è ancora giorno.

Si avvicina un tipo ciondolante con un bel po’ di disagio sulle spalle, come molti da queste parti. Biascica, non si capisce niente, a parte che vuole dei soldi o dell’alcool. Dopo poco se ne va. Ce ne sono molti altri in giro, si aggirano come fantasmi.

-Il dottore del pronto soccorso dice che molti dormono in alcune specie di buche o rifugi costruiti con tronchi di legno nei boschi qui intorno a Tok – dice Yvés – le famiglie non li vogliono vedere ritornare a casa in quelle condizioni dopo un giorno in giro per Tok, così loro si rifugiano nei boschi qua intorno –

Gino ed Emanuela sono di Venezia e da circa cinque anni sono in giro per il mondo. Hanno lasciato tutto in Italia, venduto casa e salutato amici. Per ogni continente visitato hanno comprato una motocicletta e si sono spostati con quella.

– In Nepal e India abbiamo passato un anno. Fantastico – dice Gino – poi Indonesia, il Borneo…– ed elenca un sequenza di paesi che non mi ricordo più. Poi a maggio scorso sono capitati in Centro America, così senza un piano preciso a parte quello di munirsi di un mezzo di locomozione e hanno preso a guidare verso nord, fermandosi dove meritava e vivendo alla giornata.

Anche Kevin è diretto in Argentina. E’ di Briançon e parlando di montagne e sci mi regala un adesivo che fa ancora bella mostra di se sul davanti della mia bici: ski today, work tomorrow. E’ il nome dell’agenzia turistica di suo fratello.

-Ho conosciuto un altro francese giorni fa – dico io -non ricordo il nome, ma aveva una bici gialla e anche lui era diretto in Argentina –
-E’ Cedric – dice Fréderique
-L’ho incontrato che era quasi a Dawson City, ha preso un anno di aspettativa dal lavoro e ha programmato tutto per arrivare in Perù entro Marzo, volare in Patagonia, pedalare verso nord per tornare nuovamente in Perù e così evitare l’inverno australe –
– Sì è proprio lui! Lo abbiamo conosciuto sull’aereo per Anchorage – continua Fréderique -pensa che è partito con noi da Dead Horse. Mangiava solo barrette per non portarsi troppo peso dietro, è un folle –

Cédric si rivelerà una vera e propria macchina da guerra. In appena un mese coprirà la distanza dalle rive del Mar Artico a Vancouver, un ulteriore mese per raggiungere il Messico, e a tre mesi dalla partenza sarà in Guatemala.

Andiamo avanti a chiacchierare così per non so quanto. Dopo tanto stare solo, in una serata del genere il tempo non è quantificabile. Sembrano passati cinque minuti e invece sono già due o forse tre ore. Si sta bene così ed è solo bello.

continua…

Stefano Elmi

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