– Arrivo! Mi vado a cambiare e torno –
Si va a cambiare per cosa? Non deve raccontare la storia di Jack London?
Sono solo assieme a due pensionati americani evidentemente poco interessati. La conferenza o lecture, come la chiamano qui, durerà mezz’ora e loro hanno già detto che fra pochi minuti devono andar via. Ma la signora non si scoraggia e non perde il suo entusiasmo.
– Arrivo! Mi vado a cambiare e torno –
Io continuo a non capire. Mi guardo coi pensionati che rimangono sempre poco interessati.
Sono lì seduto su una panca ad aspettare i pochi minuti per arrivare alle tre, l’ora d’inizio, e la signora finalmente esce dal bagno in abiti vittoriani con tanto di fascia delle Pioneers Womens.
Si mette a sedere su un trespolo con la tazza d’ordinanza al suo fianco con qualcosa di caldo e fumante dentro, aspetta ancora due minuti se altre persone arrivassero, anche se non c’è nessuno nel raggio di chilometri, poi chiude con una cordicella l’ingresso del museo ed inizia la performance.
-Avete letto qualcosa di Jack London immagino? –
-Si – faccio io
-Bene, e voi? – chiede alla coppia di pensionati
-No. Però fra poco dovremmo andare –
-Va bene, fa niente –
C’è una baracca di legno nel giardino del museo, ed è la riproduzione di quella originale scoperta da Dick North, uno studioso e scrittore originario del New Jersey, che è stato colui che ha ritrovato negli anni ’60 la cabin di London e dei suoi amici nella foresta a qualche giorno di cammino da Dawson.
– Sai perché Dick North si è trasferito a Dawson? – Mi chiede la signora
– Uhm, no
– Per colpa del suo cognome, come diceva scherzando lui stesso
-Ahahahah ecco…
I tronchi di abete della parte bassa sono quelli originali, mentre i tronchi della parte alta sono recenti. Non perché siano andati perduti ma perché sono stati utilizzati, sempre per la ricostruzione della stessa cabin, nell’altro museo London, ad Oakland in California, la sua città natale.
Il resto del museo non è altro che una casetta di legno uguale a molte altre da queste parti. All’interno ci sono foto storiche di Dawson. Il documento originale firmato da London e dai suoi compagni che dimostra come avessero ottenuto un permesso ufficiale per estrarre l’oro dalle autorità locali. Foto di London e dei suoi compagni lungo lo Yukon. Tutte le foto sul ritrovamento della cabin negli anni ’60. Uno schermo che manda documentari sulla corsa all’oro o vecchi film ispirati alle sue opere. Ed infine i suoi libri stampati in molte lingue diverse. A dire il vero c’è poco da vedere, ma la cosa più bella è ascoltare la signora.
– Sai cosa faceva London alla sera nella sua cabin dopo una giornata di lavoro?
– Scriveva?
– No! Lui non scriveva…
– Ok, non scriveva…
– Lui osservava, discuteva e immagazzinava tutto nella sua testa. Solo dopo un anno e mezzo, quando tornò in California comprò una macchina da scrivere e iniziò a scrivere, a scrivere e a scrivere, fino a che non era stanco e gli facevano male le braccia e poi una volta riposatosi ricominciava a scrivere, a scrivere e a scrivere.
La signora si ferma per prendere fiato. Questa scena l’ha praticamente recitata con un’enfasi ed una mimica degna di Jerry Lewis nella gag della macchina da scrivere.
– E sai cosa è successo dopo che ha finito di scrivere?
– No
– Non è successo niente. Perché nessuno voleva pubblicare i suoi lavori. Ti rendi conto? In tanti all’inizio hanno detto di no a Jack London.
Poi ha parlato della vita a Dawson in quel periodo, quando in neanche due anni divenne la città più popolosa a nord di Vancouver. Gente che arrivava da tutte le parti del mondo: a piedi, in canoa, con il battello, a cavallo. Quello che era un villaggio abitato prevalentemente da nativi vide stabilirsi 30.000 nuovi abitanti in poco più di un anno. Oggi qui vivono circa 2.000 persone.
Ma io sono incuriosito da un aspetto tecnico, ovvero: se trovavo l’oro dove lo mettevo?
-Lo portavi ad un deposito dove veniva pesato e ti davano l’equivalente del valore in moneta. Successivamente lo fondevano in lingotti e lo portavano in banca.
-Ok ma poi in banca? Rimaneva lì? Voglio dire, siamo nel mezzo al niente, questo oro sarà stato trasportato via in qualche modo?
– Beh certo…-
-Eh non succedeva mai niente? Nessuno che cercava l’oro… diciamo… per la via più veloce?
– Hai proprio la febbre dell’oro tu?
– No è che…
Non ha afferrato o forse io ho visto troppi spaghetti western, troppe rapine e assalti a banche e diligenze, ma diventa difficile da spiegare tutto questo.
-Però sai cosa è successo negli anni ’60? – improvvisamente la signora si ricorda qualcosa
-No…
-Un dipendente presso uno di quei depositi dove si fondeva l’oro decise di cambiare lavoro e trasferirsi da Dawson. Tutto bene se non che durante il trasloco nessuno riusciva a sollevare la lavatrice. Era troppo pesante, anche per essere una buona lavatrice. Era piena d’oro che negli anni il funzionario aveva sottratto al deposito. Dopo di che lui lo hanno trasferito, però in prigione.
L’entusiasmo travolgente della signora è stato a dir poco toccante. Davanti a lei una sala deserta ad eccezione di me e dei due distratti pensionati americani che neanche a metà lecture se ne sono andati. Lei imperterrita avanti col suo monologo sulla vita di Jack London con la medesima irrefrenabile passione, come se davanti a se avesse un teatro strapieno. E poi conclude:
-Eh sai cosa disse Jack London anni dopo, quando ormai era diventato uno scrittore affermato?
-No, non saprei
-Ero andato nel Klondike per cercare l’oro e ho trovato me stesso –
continua…
Stefano Elmi
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