Il giorno prima è stato solo un esercizio mentale lungo 150 km, da Rancheria a Teslin.
Una giornata di una noia mondiale e mortale. Paesaggio anonimo, nessuno posto dove fermarsi. Strada sali e scendi completamente diritta e auto che sfrecciavano.
Noia interrotta solo al km 140 quando un very big yoghi ha deciso di attraversare l’highway, infischiandosene di due auto che arrivavano e tanto meno di me in bicicletta, e l’ha attraversata col passo spocchioso di chi indugia sulle strisce pedonali.
Alaska Highway: niente altro da segnalare.
A Squanga Lake, dove decido di fermarmi per la notte, trovo una compagnia multinazionale e tutta in bicicletta.
C’è una coppia di pensionati svizzeri di Sion: Philippe e Rosy, che pedalano da Anchorage a Vancouver. Ci sono quattro americani: due ragazze e due ragazzi che son partiti dall’Alaska e vanno tutti in posti diversi. Un australiano che nessuno sa dove va. E poi c’è il cinese che però non è in bicicletta, almeno in questo frangente.
C’e’ stato un acquazzone, ed io l’ho schivato venendo da sud, ma loro che venivano da nord lo hanno preso tutto per intero. Hanno acceso la stufa nella casetta del campeggio per asciugare vestiti e scarpe.
Quando i vestiti e le scarpe sono ormai asciutti arriva l’omino della gabella. Scende dal pick-up o track, come dicono qui, dello stato dello Yukon. Veste un cinturone di pelle gigantesco con: mazzo di chiavi enorme, torcia, spray anti-orso e attrezzi vari che spenzolano.
Il gabelliere, non è altro che l’addetto al campeggio. Fa un po’ di tenerezza perché ha una evidente età da pensione, e si vede che gli rompe venire sin qui alle 7 di un venerdì sera d’estate.
-C’è da pagare, sapete? Fa lui dopo che il suono metallico del suo cinturone si è interrotto.
Attimo di silenzio fra tutti i presenti che dice: questa volta non possiamo fare la grande fuga.
Quindi si paga, ma Philippe è veloce e subito gli dice che io sono con lui e sua moglie, così paghiamo un posto in meno.
Rosy è tacitura, mentre Philippe è occupato a tenere banco, con le sue storie di viaggi incredibili, i giovincelli americani. Si vede che gli piace.
Poi ad un certo punto una bambina cinese arriva e offre cioccolatini a tutti quanti. È lì da sola, non una parola d’inglese. A me offre più volte i cioccolatini, poi mi accorgo che è sempre il solito che prende e rimette sul tavolo. Ma di chi è? I genitori? Nessuno li ha visti.
Mentre sto conversando con un tipo del Montana tutto entusiasta nel mostrarmi la sua fighissima bici Soma tutta arancione come i suoi capelli, che è talmente appassionato e me la descrive anche nei minimi particolari, anche i più insignificanti. Conosce ogni singolo millimetro del suo telaio e ogni singolo componente: come è stato fatto e come è stato assemblato. Poi mi dice che lavora in un negozio di bici.
– She’s my amore – e ride
Insomma mentre sono lì con questo piccoletto, vedo, poco più in là, la sua amica intenta in una conversazione gestuale con un signore che non avevo visto prima. Incuriosito mi avvicino.
La ragazza cerca in me una spalla e mi spiega quello che ha capito fino ad ora. Il signore è cinese ed è il padre della bambina dei cioccolatini. Appare anche la madre. In tre non sanno neanche una parola d’inglese, ma poco importa, perché il signore tira fuori dalla sua macchina una busta di fotografie. Sono tantissime e in ogni foto c’è lui con la bicicletta e un paesaggio sempre diverso.
C’è lui in bici con la Statua della Libertà sullo sfondo. C’è lui con la bicicletta e Mount Rashmore coi presidenti alle sue spalle. C’è lui e la bicicletta e la muraglia cinese. C’è lui e la bici su un passo nelle Alpi italiane. C’è lui in bici in Francia. C’è lui ovunque in questo mondo assieme alla sua inseparabile bicicletta Giant.
Tira fuori anche un articolo di giornale cinese, il cui senso è che lui (dal nome impronunciabile) ha fatto il giro del mondo. Poi tira fuori il passaporto: lui ha 70 anni! Ed a vederlo sembra davvero un ragazzino. La ragazza americana d’Alaska con la sua tenerezza e sensibilità, appena vede la data lancia un Oh my God! a non so quanti decibel, troppo americano e troppo fastidioso.
Gli stringiamo la mano e ci congratuliamo e poi sparisce con tutta la famigliola, non si sa bene dove, e io finalmente mangio l’unico cioccolatino che la bambina mi ha regalato.
Stefano Elmi
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