La frontiera


A Rancheria a non so quale millesimo chilometro dell’Alaska Highway trovo la mia prima frontiera.

Ne ho attraversate tante lungo le strade canadesi: da stato a stato, da parco a parco, da comune a comune e così via, ma questa è una frontiera diversa. Questa è la frontiera fra noi e le terre selvagge e desolate, la wilderness come la chiamano qui.

150 km a est un esigua pompa di benzina con delle patatine. 150 km a ovest un’altra esigua pompa di benzina in mezzo alla polvere e una tavola calda. Qui in mezzo c’è Rancheria: un ristorante aperto 12 ore al giorno, un motel, un campeggio, una piccola officina e l’immancabile pompa di benzina nel piazzale polveroso.
La cucina è aperta tutto il giorno. Entro e divoro una colazione delle loro in pieno pomeriggio. La tavola calda è semplicissima, entri per una porta cigolante che avvisa la cameriera quando arriva qualcuno, ci sono 4 tavoloni di legno e un mobile dove prendersi caffè o tè.

Chiedo per il campeggio, ma la cameriera tedesca mi dice di aspettare la sua capa che per i ciclisti fa delle offerte speciali.

-Ascolta- torna la cameriera tedesca -ci sarebbe una stanza del motel…-

-No guardi la stanza non m’interessa… (poco prima mi aveva detto i prezzi, ed erano a dir poco esorbitanti)

-Lasciami finire…- continua lei -è gratis-

-Ah come mai?

-Così, facciamo questi servizi per i ciclisti. Di grazie al boss –

-Thanks boss – ride

Faccio due passi intorno alla stazione ed è tutto un cumulo di ferraglia, auto incidentate, frigoriferi, ogni cosa insomma.

Rancheria era un villaggio per gli operai che nel 1942 si misero a costruire l’Highway con la paura che i giapponesi, già in possesso delle vicine isole Aleutine, invadessero l’Alaska e questa fosse tagliata fuori dal resto del paese. A quel tempo si raggiungeva praticamente solo via mare e nel frattempo avevano già bombardato Pearl Harbour.

C’è la motoslitta, c’è il rimorchio del camion con le ruote squarciate, c’è l’auto incidentata. Ne elenco solo tre ma ce ne sono a decine nel piazzale di casi così. Sono tutti apparentemente abbandonati ma l’impressione che danno è che fra poco qualcuno li rimetterà in moto.

Mi spiego meglio: in un altra parte del mondo questa sarebbe considerata una discarica ma qui nella frontiera no. Il rimorchio del camion con le gomme squarciate, e con ancora parte del carico sul cassone, potrebbe sostare nel piazzale da un giorno oppure da due mesi, non fa differenza. Nessuno si è curato di spostarlo da quando si è rotto.

La motoslitta l’hanno lasciata là in mezzo forse perché un giorno si è sciolta tutta la neve all’improvviso oppure perché si è rotta davvero.

L’auto incidentata buttata  la’ alla rinfusa sembra dire che qualcuno prima o poi, o forse mai, verrà a riprendersela.

Tutti questi oggetti sembrano apparentemente sospesi, sembrano essere di passaggio, come è questo luogo appunto.

Entro nel motel, che era il vecchio dormitorio degli operai, il corridoio pende tutto a destra ed è tutto dipinto di un bianco sporco meraviglioso. Fuori inizia il temporale di colpo il piazzale polveroso è pieno di fango.

Un’altra storia narra di come il primo proprietario dopo la guerra prese Rancheria e ne fece una stazione di servizio per i viaggiatori. In un intervista si ricorda il primo pasto servito nel 1947 ad un bambino e al suo papà bloccati dalla neve e costretti a passare la nottata nel motel.

Tutto è narrato con una sorta di enfasi. L’enfasi della storia fra l’uomo bianco e le terre selvagge. L’enfasi della loro storia recente.

Il vecchio proprietario è andato in pensione negli anni ’70 quando è subentrata la capa che fa gli sconti ai ciclisti.

Per la cronaca mi ha offerto anche la cena, avevo anche preso una strawberry pie col gelato, buonissima.

We nave to look after you guys, mi dice. Un sentimento da frontiera.

Stefano Elmi

scrittimaiali

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