-Sai se a Watson Lake c’è un negozio di bici?
– No non c’è, perché di cosa avresti bisogno?
-Devo cambiare le gomme
-Eh ma tutti sanno cambiare le gomme!
Lo guardo cercando di cogliere dell’ironia. Passano 30 secondi e non la raccolgo, allora aspetto ancora una decina di secondi (lunghissimi), non succede niente, quindi intervengo.
– Devo comprare delle gomme nuove!
-Ah ok!
La Cassiar è finita con questo dialogo assurdo in una stazione di servizio che lo è ancora di più, mangiando un panino (non un cheeseburger, ma faceva comodo per il titolo) fatto dalla mamma del gestore.
Questa grande highway poteva finire forse un po’ meglio, come era iniziata a Kitwanga una settimana prima nonostante il pessimo cheeseburger, ma tant’è e la desolazione dell’Alaska Highway è alle porte.
Due giorni prima, a sera tardi, ero arrivato a Jade City. Un posto famoso in tutto il mondo perché lo dice il cartello all’entrata del paese, beninteso bisogna arrivarci, ma il motivo me lo sono già dimenticato.
Campeggio libero. Mi sveglio la mattina sotto un temporale fortissimo, altro dettaglio: fa un gran freddo. Provo ad uscire e noto che sulle vette circostanti ha nevicato. Tira anche un vento terribile: si gela. Provo a scaldarmi nel bazar del paese dove servono caffè gratis.
Aspetto qualche ora per disfare la tenda e provo a proseguire. Dopo una decina di chilometri che pedalo in lontanza scorgo mamma orsa col suo piccolo, veramente piccolo per essere un black bear (avrà la stazza di un cane di media taglia), che escono dal bosco e si avvicinano al bordo della strada intenti ad attraversare. Non mi hanno visto, io mi sono fermato a debita distanza.
La mamma, una volta arrivata sul bordo mi vede subito, non c’è neanche tempo per un sussulto, gira la testa velocissima alle sue spalle e il nanetto non deve nemmeno chiedere: che succede mamma? Che parte velocissimo e ritorna nella fitta boscaglia appena lasciata.
La mamma viene ancora avanti, dove inizia l’asfalto, si mette in piedi sulle zampe posteriori, guarda a destra e a sinistra, fiuta l’aria muovendo le due grosse narici, ma qualcosa non le torna così segue lentamente le orme del cucciolo e anche lei è inghiottita dalla vegetazione.
Io, che sarò ad un centinaio di metri, aspetto. Quando hai bisogno di una macchina non passa mai. Dopo qualche minuto sento il rumore, mi avvio e vado oltre.
Tutto imbacuccato sotto l’acqua canticchio, non so perché, Black Hole Sun dei Soundgarden. Mi fermo ad una stazione di servizio per prendere una cioccolata e scaldarmi, c’è una vecchia radio accesa, di quelle ancora con le cassette, sintonizzata su una stazione di Whitehorse che sta dando una canzone dei Soundgarden (no Black Hole Sun ma un altra di cui non conosco il titolo). Coincidenze.
-Insomma paghi?
Son seduto su di un trespolo che ho appena finito il mio panino e bevuto una roba zuccherosa mentre penso a occhi sbarrati ai 700 km di questa Stewart-Cassiar appena conclusa, non sapendo bene cosa mi aspetterà di qui in avanti, che il tipo della stazione di servizio m’incalza. Pago.
Squilla il telefono:
-Si i panini erano buoni mamma. Si me ne servono anche per domani mamma. Si grazie mamma. Ciao mamma. A dopo mamma.
Era la mamma.
-Cosa c’è a Nugget City? – chiedo
-Andrei a Nugget City se odiassi i miei soldi! Lì ti fanno pagare anche per l’acqua!-
Nugget City è una stazione di servizio e ristorante a meno di un km lungo l’Alaska Highway. Credo sia la concorrenza per lui. Ci vado e ordino una bistecca.
Divorata la bistecca ho un altro pensiero: sono a corto di viveri sulla bicicletta e nei dintorni non c’è niente dove fare un po’ di scorta. Poi all’improvviso l’intuizione: noto sul banco una tavoletta di cioccolato senza nome e abbastanza grande. La compro e mi metto a studiare l’alimentazione per il giorno seguente per coprire i 50 km ed arrivare a Rancheria, la prossima tappa.
A dire il vero la mia tattica è molto semplice. Mezza tavoletta di cioccolato mangiata in tenda appena svegliato la mattina per sfuggire alle zanzare. Seconda metà della tavoletta mangiata dopo 20km in un area di sosta. Arrivo a Rancheria, in maniera più che dignitosa, nel primo pomeriggio pronto per un vera e propria colazione.
Stefano Elmi
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