È il primo giorno sulla Cassiar. Lasciato il General store dopo una mezz’ora faccio una piccola deviazione per Kitwancool, dove ci sono i Totem delle popolazioni indigene-native, che non ho ben capito cosa siano, così vado a vedere.
I Totem sono tronchi di cedro alti 10 o 15 metri e forse più e sono scolpiti il più delle volte con figure di uomini, di donne, di animali, ma anche di oggetti come canoe e rappresentano la storia e la tradizione di un clan. Non c’è niente di religioso.
A Kitwancool ce ne sono moltissimi. C’è anche un museo ma è chiuso, e poco distante c’è una signora anziana che vende dei souvenir in una capanna buia che fa tenerezza.
Proprio in mezzo ai totem si trova una casa: macchine distrutte tutte intorno, cumuli d’immondizia come montagne, biciclette accatastate, sporcizia d’ogni genere ovunque. A cose normali non sarebbe abitata, qui lo è.
Gli unici giovani in giro li vedo fiondarsi in bici al drug-store vicino alla pompa di benzina. Anche un signore più anziano tutto sdentato va lì con la sua bicicletta e mi saluta.
Quando esce facciamo due chiacchiere. Vede la mia bici e s’interessa, chiede se ho anche una gomma di ricambio.
-Io ho questa, non è un gran che ma per girare in paese è sufficiente
– Ma qua piove sempre? – gli chiedo
– Eh sì quasi ogni giorno, ma è buono per i funghi –
E mi indica un bosco uguale a tanti altri sotto una montagna.
– Vado là in bicicletta quando è il periodo –
Sto mangiando una banana ma non so dove tirare la buccia, allora lui me la prende di mano e mi dice:
-Dalla a me che a casa ho il cestino
Poi guarda la casa più sozza delle altre in mezzo ai Totem
-Quella è di mio nipote, fa il pescatore. Gli ho anche dato dei soldi per portarmi del pesce ma non me la mica portato.
Ci salutiamo con un: vedrai un sacco di orsi su questa strada.
Riprendo il cammino e piove per 20 km fortissimo, poi arriva il sole nei successivi 20 e poi di nuovo pioggia. Così per quasi tutto il giorno.
Mi fermo a mangiare qualcosa in un posto su un lago dove qualcuno, forse andato via da poco, ha lasciato acceso un fuoco. Lo riattizzo e riparte, ma le zanzare non demordono.
Quando il tempo finalmente sembra volgere al bello e le nuvole se ne vanno foro la ruota posteriore. Riparo e riparto.
Ad un certo punto questa Highway a due corsie, dall’asfalto tutto brugnoloso che ti fa saltellare, si chiude a imbuto su un ponte fatto di assi di legno inchiodate dove passa solo un auto alla volta. I lunghi tir carichi di tronchi non rallentano neanche ed è tutta un’oscillazione paurosa.
Dopo150km e un cielo finalmente sereno giungo al lago di Meziadin con vette innevate e ghiacciai che fanno da contorno.
A cose normali questa sarebbe stata una giornata del cazzo. Ma non so: sarà l’inizio di questa strada desolata, saranno le poche chiacchiere con dei personaggi di passaggio, sarà che per qualche ora è ancora il mio compleanno, sarà che non so bene che cosa è. Mi siedo su una panca in riva al lago, prendo il taccuino, e inizio a scrivere.
Stefano Elmi
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